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Cabra, Forte | Teatro Franco Parenti

Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo

loghi regione

Lo spettacolo rientra nell’attuazione del progetto di comunicazione “La mente in scena” finanziato dal Programma Nazionale “Equità nella salute 2021-2027” e realizzato dalla Regione Basilicata nell’ambito della Politica di Coesione (fondi FESR e FSE+).
Il PN” Equità nella salute” 2021-2027 punta a rafforzare i servizi sanitari e rendere più equo l’accesso alle cure nelle sette regioni del Sud d’Italia con riferimento a quattro aree strategiche: salute mentale, screening oncologici, medicina di genere e povertà sanitaria.
Il progetto “La mente in scena” vuole rafforzare la conoscenza dell’azione del PNES rispetto al tema dei servizi sanitari dedicati alla cura della salute mentale e dello sviluppo di modelli integrati di intervento in collaborazione con i servizi sociali territoriali e gli enti del terzo settore.

Per maggiori informazioni sul PN” Equità nella salute”: www.pnes.salute.gov.it/
Per informazioni sull’attuazione in Basilicata: europa.regione.basilicata.it/2021-27/programma-nazionale-equita-nella-salute/

10 novembre 2025, ore 21.00

Potenza, teatro F. Stabile

ingresso libero [prenotazione obbligatoria]

Uno spettacolo di Fausto Cabra. Testo di Gianni Forte. Con Raffaele Esposito, Anna Gualdo, Sara Putignano. Scene Stefano Zullo. Disegno luci Martino Minzoni. Costumi Eleonora Rossi. Musiche Mimosa Campironi. Grafica e contributi video Francesco Marro. Produzione Teatro Franco Parenti. Aiuto regista Anna Leopaldo. Direttore di scena Riccardo Scanarotti. Elettricista Martino Minzoni. Sarta Giulia Leali. Scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti. Costumi realizzati dalla sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni.
Si ringrazia Pietro Micci per la partecipazione in video.

Info e prenotazioni
contatti@cittacentoscale.it

Un testo teatrale originale che indaga la natura poliedrica della mente e prova a smascherare il falso-mito, ormai imperante, dell’essere sé stessi.

Il regista Fausto Cabra incontra Gianni Forte (Compagnia Ricci/Forte) per una pièce che trae ispirazione dal caso che scosse profondamente l’America degli anni ’70 già raccontato nel libro Una stanza piena di gente di Daniel Keyes che ha ispirato la serie The Crowded Room. Billy Milligan, riconosciuto colpevole di aver rapito e violentato tre ragazze, fu assolto per infermità mentale perché affetto da disturbo di personalità multipla: in lui ne coabitavano addirittura ventiquattro. Tra reale e immaginario, scandagliando verità, ricordi e menzogne, lo spettacolo esplora le insondabili profondità dell’animo umano, le sue sfolgoranti illuminazioni, le sue inconfessabili oscurità. Un lavoro, per il regista, dal forte valore politico che riflette sulla fragilità dell’identità. In un’epoca in cui ci si auto-ingozza di certezze e semplificazioni è un invito a convivere con le sfumature e con la complessità, e a riconoscere la contraddizione e la molteplicità come parti costitutive del nostro essere.


parenti schegge l

Note di regia | di Fausto Cabra
Da molti anni coltivavo la fantasia di sviluppare uno spettacolo intorno al celeberrimo caso di Billy Milligan, primo caso di personalità multipla riconosciuto dalla giustizia americana, sentivo che questa storia mi parlava, mi disturbava e toccava qualcosa per me di profondo e primario. Ho chiesto quindi a Gianni Forte di non farne solo una storia su un caso psichiatrico limite (un criminale che ospitava in sé ben 24 differenti personalità), ma trarne un viaggio più ampio sull’identità, sulla finzione, sull’auto-menzogna, sulla verità e sul processo di liberazione dal trauma. Attraverso il personaggio di Billy, figlio di un attore comico suicida, ragazzo dall’infanzia tormentata, abbiamo provato a costruire un’indagine nelle regioni più scomode e disturbanti della mente umana. 
Sempre più spesso l’individuo oggi è un equilibrista della superficie, che si auto-narra come coerente, unitario, giusto, semplice, costante, ma per reggere la menzogna è costretto a tagliare ogni comunicazione con la propria interiorità, a scollegarsi dal proprio magma interiore. Questa disconnessione dal proprio personale groviglio risponde al bisogno di verità chiare, semplici, rassicuranti e porta a deformare il mondo esterno pur di ritrovare una dualità confortante, buono/cattivo, bello/brutto, luce/buio. Sotto le bordate di questa doppia disconnessione soccombe l’individuo contemporaneo, e con esso il cittadino (di ormai facile manipolazione), e di conseguenza le democrazie. La verità indicibile è invece che ogni individuo è profondamente incoerente, contrastato, aggrovigliato, e le luci sono continuamente rimpastate con le ombre. Avere il coraggio di accogliere la propria complessità con serenità e di accettare che la propria identità sia in continuo riassestamento e un continuo compromesso tra parti di sé, permette anche di connettersi empaticamente all’altro, e con solidità alla complessità del reale che ci circonda. Proprio qui il Teatro si fa politico, smascherando questo bisogno di certezze assolute e immutabili. Viviamo immersi in una cultura dell’iper-finzione, in una continua auto-menzogna, dove anche il teatro contemporaneo spesso cede alla tentazione illusoria di spogliarsi della finzione e della sua natura trasformativa, cosa tanto impossibile quanto menzognera. L’esasperata tendenza di alcuni artisti contemporanei a raccontarsi sinceri e onesti, a distinguere sé da ciò che è finzione, purtroppo finisce per diventare una iper-finzione che piomba nella pura menzogna. Innanzitutto, Finzione e Falsità sono tutt’altro che sinonimi, l’una ha a che fare con il gioco e la libertà, l’altra con le gabbie e la paura. Fingersi è l’esatto opposto del mentire e mentirsi, perché il proiettare e proiettarsi è il meccanismo fondamentale della mente.
Lo spettacolo vuole riportare in primo piano il gioco teatrale, l’arte dell’interpretazione, e il rischio che l’attore si deve assumere ogni volta che sale su un palco, il rischio di esporsi, di compromettersi attraverso il proprio giocare, proiettarsi, illusionisticamente mostrarsi mentre si nasconde.  Attraverso Billy, dunque, da molti creduto innocente in quanto incapace di intendere e volere, e da altri accusato di fingere un disturbo mentale per evitare la condanna, lo spettacolo esplora il confine tra realtà e menzogna, tra ciò che è autentico e ciò che è costruito.
Ho chiesto dunque a Gianni Forte di articolare il testo intorno a tre piani principali e anche di giocare con i generi:
– l’indagine legale: il legal-thriller, viaggio intorno al criminale, tra vittime, avvocati, polizia e riscontri evidenti, con il conseguente tentativo di arrivare a una verità oggettiva e inconfutabile su Billy e i crimini di cui è accusato.
– l’indagine psicologica: il dramma psicoanalitico, viaggio intorno alla patologia, al trauma, alla famiglia, nei labirinti della mente fratturata di Billy, con la conseguente esplorazione del mondo soggettivo, in cui affermazioni antitetiche coesistono veritiere.
– l’indagine teatrale: la metanarrazione, in cui il teatro stesso cerca di ricostruire una storia ordinata da un magma confuso di piani ed eventi. E intorno a questa dimensione si sviluppa anche una riflessione sul ruolo dell’artista, portatore di ciò che è multiforme e che si fa disturbante, rivelatore di una realtà mai lineare, sempre stratificata.
La mente di Billy non è un vuoto, è un troppo, uno straripamento, uno sciame di dimensioni sovrapposte. Di conseguenza la messa in scena gioca su una continua sovrapposizione di livelli; come una mente è chiamata a una continua decodifica, anche lo spazio scenico sovrappone la dimensione oggettiva, al punto di vista soggettivo, alla propriocezione, all’humus culturale da cui proviene, al rimosso che non visto tutto muove, al super-io che imperterrito descrive, comprende, spiega e razionalizza. I piani sono continuamente compresenti in trasparenza. Il palcoscenico diventa un luogo fluido, in cui i confini tra sogno, ricordo e presente si dissolvono, e la complessità va perennemente riassemblata. La messa in scena non si adagia su un realismo statico, ma bisogna accettare la frammentazione dell’identità in un esperimento teatrale di polifonia interpretativa e scenica.
Per me questo lavoro ha un forte valore politico, non perché racconta una vicenda giudiziaria, ma perché riflette sulla fragilità dell’identità, sulla manipolazione del mondo di dentro e di conseguenza della realtà di fuori, e sulla necessità di accettare e accogliere con coraggio la complessità di entrambe le dimensioni. In un’epoca in cui ci si auto-ingozza di certezze assolute e semplificazioni, si invita a convivere con le sfumature, con la complessità, a riconoscere la contraddizione, la molteplicità, l’incoerenza come parte del nostro essere costitutivo.
Questo spettacolo rifiuta la semplificazione, le categorie nette, mostrando che l’essere umano è intrinsecamente molteplice, caotico, incoerente, complesso, e solo accogliendo ciò può attraversare con fiducia il groviglio del mondo. È un azzardo a guardare l’inguardabile, sbrogliare l’incomprensibile, e con dolore provare a darsi l’opportunità di superare il nodo, il trauma che blocca, che ingolfa, che incarcera… per darsi l’opportunità di iniziare a rinascere.
Con Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo ci assumiamo il rischio di sfidare noi stessi, il pubblico e gli attori. Non offrendo risposte semplici, ma invitando a porsi domande impossibili, a mescolare i linguaggi e i generi, spingendo gli attori a esplorare territori sconosciuti e a mettere in discussione ciò che consideriamo vero, certo, solido. 
Questa è, in fondo, l’essenza del teatro: rischiare, trasformare, smascherare, condividere. E questa è anche l’unica vera sfida dell’artista.

Note drammaturgiche | di Gianni Forte
Una dolorosa ricerca di riunificazione della propria identità, liberamente ispirata alla storia vera delle 23 (+1) personalità di Billy Milligan, in cui tutti i vari pezzi del Sé non si incastrano più. Così, tormentato da un inesauribile senso di inadeguatezza, attraverso una complessa rete di voci/presenze di un’umanità multipla, sfugge al “posto” sulla mappa assegnatogli alla nascita, fondendo nuove demarcazioni spazio-temporali per rimpossessarsi del proprio ordine e non perdersi al di là del vetro smerigliato della porta dell’esistenza. Uno specchio teso alla nostra società, dove le molteplici interazioni digitali dettano comportamenti distorti e ispirano sembianze proteiformi, spingendoci a sviluppare personalità avatar, talvolta contraddittorie, per rispondere alle ingiunzioni/sirene che dovrebbero tirarci fuori dalle nostre profonde solitudini e ci conducono, invece, a uno stato mentale alterato, mentre sullo sfondo dei nostri traumi e paure danzano ombre dalle forme indeterminate.

Musiche e drammaturgia sonora | di Mimosa Campironi
Ispirata al rock psichedelico degli anni ’70, la drammaturgia sonora si configura come un viaggio frammentario all’interno della psiche del protagonista. La scrittura musicale originale richiama l’energia e l’innovazione di icone come Talking Heads, Laurie Anderson, Led Zeppelin e Deep Purple, creando un linguaggio polifonico capace di esprimere le molteplici personalità di Billy Milligan. Come evidenzia Michel Chion con il concetto de “I suoni dell’orribile”, l’inclusione di suoni disturbanti – sussurri, rumori evanescenti e frammenti acustici – risulta fondamentale per trasmettere il dolore e il disagio celati dietro la frammentarietà dell’identità del protagonista. L’impianto di sound design non si limita a orchestrare la musica: si arricchisce di voci e sussurri che dipingono paesaggi interiori, mentre i suoni evocativi del trauma infantile vengono rielaborati per dare voce al rimosso inconscio. Inoltre, vibrazioni basse e subliminali sono integrate nel progetto, creando un effetto fisico quasi palpabile che fa vibrare la platea, amplificando l’esperienza emotiva.
La scelta di citare brani e riferimenti musicali noti è parte integrante della strategia artistica, in quanto stabilisce un contrasto netto tra la realtà percepita e il mondo interiore che la altera. Tale contrasto accentua la distanza tra l’apparenza esteriore e il caos interiore, invitando lo spettatore a vivere un’esperienza immersiva, come se si trovasse realmente nella mente del protagonista. La drammaturgia è realizzata con l’uso di sintetizzatori Moog, chitarra elettrica e pianoforte. Ogni riferimento e citazione musicale viene filtrato e trasformato attraverso la composizione di brani originali, creando un ponte emotivo tra la realtà e il mondo interiore alterato del protagonista. Questa integrazione trasforma ogni eco del rock psichedelico in un elemento unico e coerente, guidando lo spettatore in un viaggio nella mente di Billy.


Fausto Cabra, attore e regista. Nella sua carriera ha lavorato con alcuni dei più grandi maestri della scena teatrale italiana, tra i quali Luca Ronconi, con il quale ha stretto un sodalizio artistico durato anni e che lo ha diretto in diverse produzioni, tra cui l’ultima regia del grande maestro Lehman Trilogy. Ha collaborato anche con Carlo Cecchi, Giorgio Barberio Corsetti, Mario Martone, Valerio Binasco e Claudio Longhi. Negli ultimi anni ha consolidato il suo rapporto con il Teatro Franco Parenti, dove è stato protagonista di Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman con la regia di Raphael Tobia Vogel e de Il misantropo e Chi come me diretto da Andrée Ruth Shammah.

Gianni Forte, drammaturgo, regista, attore e traduttore. Direttore Artistico Inter/Nazionale 2025/2027 dei Teatri di Bari. Co-direttore artistico 2021/2024 del settore Teatro della Biennale di Venezia. Membro del consiglio di amministrazione del GIFT International Festival di Tbilisi, in Georgia, dal 2023. Co-fondatore nel 2006 e direttore artistico dell’ensemble ricci/forte performing arts. Nel 2024 ha tradotto La morte difficile di René Crevel per Ventanas Edizioni. Il suo testo teatrale più recente, Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo, sarà prodotto e debutterà al Teatro Franco Parenti di Milano, con la regia di Fausto Cabra.